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Panico: istruzioni per l'uso. Come trasformare un problema in una opportunità

 

G. Lanari, B. Rossi, P. Adorni, V. Cei, Armando Editore – Roma – 2006 – 110 -  euro 13,00 

 

 

 

di Simona Di Carlo

 

 

Panico. È possibile trasformare questo problema in una opportunità? Certo è una domanda interessante e lecita per chi si avvicina alle tematiche relative ad ansia e panico, sia per sé che per persone care. Sappiamo bene come chi sperimenti il panico rimanga in uno stato di smarrimento, incredulo e spaventato da ciò che accade senza sapere bene a chi affidarsi per risolvere i propri problemi.

Ecco il motivo per cui è sempre più necessaria una corretta informazione perché ci si possa rivolgere a professionisti competenti; credo che il libro “Panico: istruzioni per l’uso”, dia indicazioni utili e alla portata di tutti per comprendere come, e con l’aiuto di chi, affrontare il problema.  Infatti il libro si propone come una guida pratica per fare chiarezza in situazioni dove la confusione e il disorientamento prevalgono.

A mio parere, un aspetto di rilievo del testo è il continuo rimando alla necessità di integrare le soluzioni di cura proposte, creare una rete di sostegno per approdare ad una presa in carico globale della persona. L’operazione di ridare unità laddove prevale un sentimento di frammentazione del sé è importantissima; in tal modo è possibile occuparsi dell’aspetto sintomatico del disturbo da attacchi di panico (DAP) che si esprime attraverso il corpo, delle origini del disturbo consentendo una modificazione di percezione e pensieri e, infine, dell’integrazione sociale attraverso l’incontro con chi soffre dello stesso problema e la condivisione di disagi e preoccupazioni.

Il lettore può affidarsi completamente al testo certo che si potrà sentire accolto e rassicurato. Infatti penso che la funzione fondamentale dello stile semplice, chiaro e diretto del libro sia di far comprendere che si può essere capiti, accettati e curati a condizione che ci si impegni in un progetto volto al recupero di un benessere di cui tutti dovremmo poter godere.

La prima parte del libro, in particolare, svolge un ruolo di accoglienza e introduzione all’argomento con una modalità terapeutica di per sé. Iniziare a parlare del sintomo dandogli un significato permette a chi legge di attivare un pensiero differente che riporta alla presenza di motivazioni profonde e spesso non considerate. Dare senso fa sentire meno malati e dà la speranza che una soluzione possa esistere

Ho trovato molto interessante come, attraverso il significato etimologico della parola panico, si riesca a risalire al conflitto originario alla base del DAP, il cortocircuito tra aspettative, a volte troppo elevate, e bisogni/desideri, spesso trascurati, acuito da una società odierna estremamente competitiva e da modelli ideali eccessivi.

Con tali premesse la malattia appare come un segnale di disagio e di “stop” obbligato di fronte alle molte richieste di cui ci si sente sommersi e a standard personali e sociali esagerati. È chiaro come queste situazioni possano scatenare angoscia se si pensa ad un sé fragile che necessita di trovare contenimento ma si trova inserito in un ambiente dove è sempre più difficile trovare dei limiti e riconoscerli. Non avere confini precisi può rappresentare la possibilità di perdere la propria identità e fondersi col mondo esterno e per questo suscita angosce di morte, morte del sé.

Pur nella sofferenza non è facile chiedere aiuto, fidarsi e affidarsi mantenendo contemporaneamente l’idea che la cura di sé non deve essere delegata ma agita in prima persona. Ecco che le soluzioni proposte al lettore sono varie e complementari.

Tra le possibili psicoterapie viene trattata nello specifico l’approccio cognitivo–comportamentale attraverso il quale si cerca di eliminare le reazioni di panico senza però indagare i motivi profondi che le generano.

La psicoterapia, di qualsiasi tipologia essa sia, va assolutamente integrata con l’uso di farmaci adeguati che, tenendo sotto controllo gli attacchi, permettono di concentrarsi meglio sul lavoro terapeutico e di recuperare in tempi relativamente brevi una migliore qualità di vita.

Infine, non va sottovalutato l’aspetto dell’integrazione sociale di chi soffre di DAP. Condividere in gruppi di auto-mutuo aiuto il proprio malessere fa sentire compresi e meno isolati nel proprio disagio. Come psicoterapeuta di gruppo tengo però a sottolineare che l’auto-mutuo aiuto ha una funzione di integrazione e di supporto ma non terapeutica in senso stretto. Va detto che i gruppi di psicoterapia sono condotti da uno psicoterapeuta esperto, hanno modalità diverse e non sono necessariamente omogenei relativamente al disagio portato.

Solo attraverso una rete forte, che possa contenere tutti gli aspetti della persona, è possibile riappropriarsi del benessere. È importante far capire che ciò non significa ritornare ad essere “come prima” ma procedere in un percorso di crescita che porta a superare le problematiche per le quali l’attacco di panico lanciava un segnale di allarme. Da qui l’opportunità di una migliore qualità di vita.