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RECENSIONE

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G. Lanari, B. Rossi, P. Adorni, V. Cei

PANICO: ISTRUZIONI PER L’USO. Come trasformare un problema in una opportunità

Armando Editore – Roma – 2006 – 110

 

 

In questo volume, gli autori si propongono di portare le loro conoscenze inerenti il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), acquisite attraverso l’esperienza professionale e la pratica clinica, ad un pubblico composito, non specialistico, ossia rivolgendosi a lettori attenti alla propria qualità di vita, portatori di sofferenza, ma anche soltanto curiosi di saperne di più.

Mi pare importante sin da subito, segnalare la visione prospettica adottata, che nella prefazione stessa del libro viene definita nei termini di “psicoeducazione” e di “prevenzione”, poiché troppo spesso ormai, si trovano sugli scaffali delle librerie, manuali “fai da te” che il più delle volte inducono onnipotenza, illudono sulle realizzazioni personali, squalificano il sostegno gruppale e, quelli si, pongono il rischio che la persona viva sentimenti di frustrazione…bene che vada!

Dunque, quell’ “Istruzioni per l’uso” nel titolo del testo, va inteso come guida per trovare la corretta visione di un disturbo che può essere usato, appunto, come opportunità di evoluzione personale.

L’impegno degli autori ad utilizzare un linguaggio chiaro e diretto, e ad organizzare i testi in brevi sottocapitolazioni, si traduce in un importante pregio del libro, così capace, senza fraintendimenti, di colloquiare con e sulla sofferenza, in un modo che mi è parso autentico e sereno, da guida esperta.

Dell’inizio mi piace segnalare anche la citazione di Jim Morrison: “Non piangere se non vedi più il sole, perché le lacrime ti impediscono di vedere le stelle!”. Jim Morrison è l’istrionico cantante, santone supremo, re, di un gruppo che nasce nel 1966 a Los Angeles, i Doors, mitici sin dal loro esordio per quell’insieme di musica rabbiosa, inquieta e aspra, e voce tenebrosa, ipnotica, che allora proponevano. Una colonna sonora intrisa di iperfisicità, respirazioni contratte, che narra in musica del mito di Edipo (“The End”), in cui l’ascoltatore si perde, un po’ perversamente. Anche il dio Pan, veniamo a sapere più avanti nel testo del libro, dall’analisi etimologica condotta, è il Dio delle “scorribande giovanili”, e rappresenta godimento, sessualità anche perversa, perché “non può soddisfare l’amore della sua vita”. Ed è in conseguenza al suo urlo che la persona sperimenta Panico (un attimo prima il Dio stava dormendo, dunque l’urlo coglie davvero di sorpresa!).

Ora, a lettura del testo terminata, riprendendo quel piangere che impedisce di vedere le stelle, mi pare di poterlo riferire all’importante componente fisiologico/fisica, costitutiva del DAP, connessa alla disturbante sintomatologia esperita e alla corporeità posta sempre in primo piano, come sotto i riflettori, rispetto al mondo emotivo, che da essa e dalla sua ombra è offuscato. Questo sostiene l’atteggiamento per cui si avvia il pellegrinaggio tra visite specialistiche ed esami diagnostici di ogni tipo, nonché le resistenze e le fatiche durante il trattamento. Ciò è ben evidenziato, insieme naturalmente ai benefici relativi agli specifici interventi, nei capitoli inerenti la Psicoterapia (viene descritta quella di tipo cognitivo-comportamentale), la Farmacoterapia, e i Gruppi di Mutuo Auto Aiuto.

Il sole rimanda invece all’immagine di sé perduta, al ricordo nostalgico di un “prima” radioso, grandiosamente idealizzato, e di un “dopo” dove “è un po’ come non riconoscersi più”. C’è chi fa di questo perdersi la propria scelta di vita (Jim Morrison si perde definitivamente nel 1971, dopo pochi anni di enorme successo), e chi in questa paura, sostengono gli autori, trova modo di segnalare a sè stesso l’esistenza di un pericolo, l’attraversamento di un tempo sconosciuto che richiede attenzione, il “trovarsi ad un bivio”, sia esterno che interno, del proprio percorso storico.

Il libro fa comprendere, senza mettere in allarme, che il DAP è un disturbo serio, che origina nella storia complessiva dell’individuo, e che non passa così come è arrivato, al contrario è passibile ben presto di cronicizzazione. E gli autori, riescono nel prezioso intento di divulgare un approccio alla malattia, che evita di chiudere il soggetto in questa patologia psicofisica “prigione dell’anima”, aprendo invece alla possibilità di coltivare la speranza. In ciò si identifica quell’azione preventiva che faciliterà il riconoscimento del DAP, e potrà sollecitare la domanda d’aiuto e d’intervento terapeutico.

 

                                                                                Dott.ssa Clara Cortellazzi

 

 

 

 

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